Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 - 1981) si forma presso l’Accademia di Brera e frequenta la scuola del Piccolo Teatro. L’amicizia con Enrico Castellani e Piero Manzoni lo avvicina alle attività della rivista «Azimuth» dove nel 1959 pubblica il testo Non commettere atti impuri. Nonostante le iniziali sperimentazioni nell’ambito dell’informale, gli anni tra il 1962 e il 1967, vissuti in Argentina, coincidono con l’allontanamento dall’ambiente artistico, motivato dalla consapevole inadeguatezza della pittura, tanto da definire questo periodo “liquidazionismo” o “arte no”. Il ritorno nel capoluogo lombardo segna l’inizio di un’intensa attività in cui Agnetti si serve delle possibilità intrinseche della parola per proporre un fare arte inteso come pura analisi di concetti (cfr. G. Agnetti). L’artista mette in crisi i fondamenti dell’arte fino a disgregare le basi culturali sulle quali si fonda: dalla cancellazione delle conoscenze, nel Libro dimenticato a memoria (1969), fino alla totale negazione con Neg (1970) e «trae dal mondo la coscienza infelice dell’arte» (Trini 1972). Se negli Assiomi, lastre di bachelite nera, impiega il gergo scientifico-filosofico per interrogarsi sul funzionamento logico del linguaggio, nei Feltri, pannelli incisi a fuoco o dipinti, realizzati dalla fine degli anni Sessanta, si serve dell’aspetto narrativo della parola per introdurre, come spesso suggerito dai titoli, ritratti di personaggi o paesaggi. Inusuale la scelta di un materiale come il feltro: dalle fibre compatte, caldo e fonoassorbente, si contrappone a frasi spesso lapidarie e solenni; così, «i feltri “fanno tacere” il linguaggio senza ucciderlo, rivelando l’anima silente delle parole, come se le parole, invece che destinate a un ricevente fossero inghiottite dal parlante prima ancora di essere emesse» (Senaldi 2019, p. 41). In queste opere Agnetti stabilisce un silenzioso colloquio tra le parti in causa – il ritratto e chi osserva – e favorisce una lettura o, meglio, una mentale raffigurazione, dello scritto presente che si differenzia da un individuo all’altro e formula «possibilità esistenziali, dove esserci e il non esserci giungono a coincidere» (Bernardi 2015, p. 52).

È il caso di Ritratto (di Inventore) del 1970, un feltro su cui è evocata la frase «sempre arriva di proposito spontaneamente in bilico tra una sorpresa e l’altra»; la presenza-assenza del personaggio coincide con la fugacità del concetto di idea che qualifica il ruolo del soggetto. Agnetti stimola l’immaginazione di chi guarda, invitando lo spettatore a comprendere l’identità che si cela al di là delle parole, per giungere alla possibilità di vedere senza figure poiché, «le immagini si assimilano cancellandole» (V. Agnetti 1978, p. 26). (e.p.)

 

Bibliografia essenzialeTrini 1972; V. Agnetti 1978; Bernardi 2015; Milano 2019; Senaldi 2019; G. Agnetti in «Archivio Vincenzo Agnetti».