Alighiero Boetti (Torino 1940 - Roma 1994) si firma Alighiero & Boetti a partire dagli anni Settanta, cercando, scrive Bonito Oliva, la «amplificazione della soggettività verso la complessità e la molteplicità delle cose» (Bonito Oliva 2009, p. 21). È tra gli artisti che nel 1967 prendono parte alla mostra Arte povera - IM Spazio, presso la Galleria La Bertesca di Genova, che segna la nascita del movimento dell’Arte Povera. Per Germano Celant, estensore del manifesto, Boetti «“reinventa le invenzioni” dell’uomo» (Celant 1967, p. 5). La sperimentazione in Boetti caratterizza l’intera attività artistica; affezionato a pratiche ed elementi ripresi dalla matematica, in campo estetico spazia tra l’impiego di materiali comuni, tecniche diversificate, la ricerca di una dimensione spirituale e al contempo la fascinazione per le classificazioni e le operazioni complesse come la moltiplicazione, la ripetizione, le simmetrie e lo sdoppiamento; del resto, la «&» che aggiunge tra il suo nome e cognome lo attesta. Osserva Anne Marie Sauzeau: «l’enunciato iniziale in un lavoro di Boetti – intendo il materiale scelto, la situazione lavorativa, il “che fare” e con che – è sempre di una disarmante e spaesante elementarità» (Sauzeau 1996, p. 35). Nell’ampia selezione di materiali utilizzati, rientra anche il tessuto: è nel 1970 che si avvicina al ricamo, quando intraprende un viaggio in Afghanistan e, entrato in contatto con la cultura locale, commissiona dei lavori alle donne di Kabul. La collaborazione tra Alighiero & Boetti e le ricamatrici prosegue anche quando, a causa dell’invasione russa, i laboratori si spostano in Pakistan, a Peshawar, dove le donne continuano la loro produzione (Chiola 2018, p. 50). È in occasione del suo secondo viaggio nei paesi orientali che Boetti progetta le Mappe, elementi nodali nel suo lavoro: grandi arazzi che raffigurano la planimetria del mondo e raccontano i cambiamenti geopolitici nel corso degli anni (Janulardo 2014). Per queste realizzazioni, i tessuti sono distribuiti a più donne possibili per conferire «la bellezza della diversità della mano d’opera, anche se lo stile era lo stesso»; le tessitrici, anonime, utilizzano tecniche tradizionali e sono loro a scegliere il colore liberamente (Chiola 2018, p.53). Ciò conferisce, per riprendere Buchloh, «un senso di luogo e identità del soggetto, in un viavai contraddittorio di progressi e regressi, ricordi e prospettive» (Buchloh 2017, p. 590). Boetti non lavora solo su mappe ricamate, ma anche su grandi «ricami, a volte giganteschi» di lettere e simboli, «un grandioso, coloratissimo caos», dalle tonalità intense (Ammann 2009, p. 21). Nelle composizioni a ricamo dà centralità al colore, al numero e alla parola, sempre alla ricerca dell’unità e della molteplicità.

L’opera esposta in questa sede, Sans titre, “Ricamo lettere” è del 1988: il ricamo è su un tessuto, diviso in griglie, in cui le parole sono disposte in modo da consentire al lettore di decifrare il loro significato. (c.s.)

 

Bibliografia essenzialeCelant 1967; Sauzeau 1996; Ammann 2009; Bonito Oliva 2009Janulardo 2014; Buchloh 2017; Chiola 2018.